"A Turbigo ho rinnovato la manovra di Ulm"
Napoleone III
All’inizio della seconda guerra di indipendenza italiana, sul finire del tentativo austriaco di sorprendere i piemontesi sul proprio territorio, nel momento stesso dell’arrivo sul fronte dei francesi, si andava a delineare una strana coincidenza storica, che porterà Napoleone III e le sue truppe, a percorrere e combattere, a volte addirittura con gli stessi reparti (è il caso della 70° demi-brigate), negli stessi luoghi dove, 59 anni prima, suo zio Napoleone I, attraversando il Ticino a Turbigo[1], poneva le basi per la vittoriosa seconda campagna napoleonica in Italia. Letteralmente sulle orme del suo avo, lasciatosi alle spalle Montebello (20 maggio 1859) prima e Palestro[2] (31 maggio 1859) subito dopo, proprio a Turbigo, Napoleone III, si apprestava ad assumere, una serie di decisioni così importanti che si riveleranno poi decisive, per la soluzione positiva di quella campagna militare e per la nascita dell’Italia come nazione. La ferrovia, fortemente voluta da Cavour, aveva permesso alle truppe francesi di giungere così rapidamente sulle rive del Ticino, da impedire agli austriaci di allestire un qualsiasi tipo di difesa preventiva, quantomeno simile a quella del 1800. I francesi videro così le sponde lombarde, senza essere accolti a cannonate. La strategia estremamente prudente che in quei giorni andava perseguendo Napoleone III, è l’aspetto che in questo momento, più lo differenzia, dal suo più famoso antenato, che proprio in questi territori invece, aveva esaltato le doti di rapidità e risolutezza delle proprie truppe, suo vero tratto caratteristico. Come spesso accadde, nell’epopea del risorgimento italiano, a dare una incredibile e decisiva accelerazione agli eventi, ci pensò una persona normale, un medico, che in quei giorni si assunse responsabilità straordinarie che alla luce dei fatti, come ci ricorda il colonnello Carlo Pagani nel suo libro “Milano e la Lombardia nel 1859”, furono decisive per lo svolgersi degli eventi così come ora andremo a descriverli, una serie successiva di fatti incredibili, che siamo in grado oggi di ricostruire, grazie al diario di un parroco, che in quei giorni prese scrupolosamente nota di tutto quanto avvenne. Questo documento, importantissimo per il risorgimento italiano, del parroco Don Pietro Bossi, è ancora oggi conservato nell’archivio della Parrocchia di Turbigo. Il patriottismo dimostrato dal dottor Carlo Brumatti, convinse i francesi ad accelerare le operazioni di attraversamento del fiume Ticino, la notte del 2 giugno 1859 che avvenne senza spargimenti di sangue. Il giorno dopo, 3 giugno 1859, i francesi saranno costretti a consolidare le loro posizioni in territorio lombardo, in quella che è passata alla storia come “La battaglia Turbigo”, che vedremo svilupparsi su un ampio territorio attorno al paese stesso, con un susseguirsi di eventi bellici, tutti favorevoli alle forze francesi, che li porteranno poi a sostenere lo scontro decisivo, il giorno 4 giugno, a Magenta. Ancora una volta, come mezzo secolo prima e più, i nomi di Turbigo[3] e Montebello tornarono alla ribalta sui giornali francesi e a loro, si aggiunsero quelli di Palestro e Magenta, tutti luoghi oggi, di vie parigine, di quella stessa Parigi moderna voluta fortemente dalla politica urbanistica di Napoleone III, vero edificatore della città moderna che tutti possiamo vedere oggi.
Per effetto della vittoria di Palestro, il 1 giugno, tre corpi d’armata francesi occuparono Novara. La presenza della guardia imperiale anticipava l’arrivo di Napoleone III nella cittadina piemontese. Gli austriaci nel frattempo avevano ripassato con celerità, in ritirata, quel fiume Ticino che solo qualche settimana prima, avevano superato con slancio, per invadere il Piemonte. Ora era evidente che il nuovo teatro di guerra, era la sola Lombardia. Le truppe francesi della divisione Camou, giunsero a Galliate, sul Ticino, il giorno 2 giugno, per costruirvi un ponte di barche. L’attendismo di Napoleone III, unito all’incapacità fisica di rilevare la presenza del nemico sulla sponda opposta del fiume, imponeva, a tutte le operazioni francesi, una estrema lentezza. La notte tra il 2 e 3 giugno 1859, un cittadino di Turbigo, il dottor Brumatti, “uomo colto di lingue e già per l’innanzi addetto al servizio militare” [4], mosso da animo patriottico e dalla consapevolezza di quanto già successo mezzo secolo prima (il paese fu completamente bruciato e distrutto dai combattimenti fra francesi e austriaci), decise di attraversare da solo il Ticino, per consegnarsi in mano francese. Il tenente Lavigne che lo aveva preso in custodia lo consegnò al comandante Laval. Quest’ultimo ricordò al dottor Brumatti che la legge marziale incombeva su di lui, ma quest’ultimo, da vecchio soldato rispose: “vengo per non farvi sciupare polvere e piombo” [4]. Il capitano lo condusse nella tenda del generale di brigata Maneque, che lo fece sottostare, prima di ascoltarlo direttamente, ad un regolare interrogatorio. Il generale poi, si fece convincere! Turbigo era privo di difesa, non vi era che uno sparuto contingente di austriaci ad occuparlo quella notte. Se si conquistava immediatamente Turbigo, il paese poteva diventare, una formidabile ed inaspettata testa di ponte, per contrastare il nemico sul suo stesso terreno, già a partire dal giorno seguente. Il Brumatti, con il suo francese, convinse anche il generale comandante della seconda divisione Camou che diede l’ordine di marcia immediata per 800 uomini, con 2 cannoni. I soldati avvolsero, fucili, spade e baionette in pezzi di stoffa, per attutire la rumorosità dello “sbatter d’armi” e non perdere l’efficacia della sorpresa. Passarono velocemente sul ponte di barche, ancora in fase di costruzione e guidati dal dottor Brumatti, percorsero quella stessa strada (ne esisteva una sola) che le truppe di Napoleone I, nel 1800, difesero strenuamente per una intera giornata, difendendo la vita del loro stesso primo console. E’ estremamente suggestivo pensare che forse, fra quelle centinaia di soldati francesi, che marciavano celermente, in quella notte scura, ci fossero, pronipoti e/o parenti, di qualche soldato caduto proprio lì, in quello stesso luogo, dove ora loro stavano passando, solo 59 anni prima. Giunti in prossimità del ponte sul Naviglio grande, al dottor Brumatti fu chiesto, a rischio della vita, se il ponte fosse ancora percorribile. Prendere Turbigo era importante, ma a nulla serviva se il ponte sul Naviglio Grande non fosse stato percorribile. L’affermazione positiva del Brumatti, fu velocemente verificata da una pattuglia al ritorno dalla ricognizione. L’avventura di eroe per una notte del Brumatti si era conclusa positivamente, la sua vita era salva e il suo gesto stava dando vita ad una nuova nazione. Alle ore 23 del 2 giugno 1859, i francesi passarono il ponte ed occuparono le prime case di Turbigo. L’atto di valore di una sola persona, permise effettivamente che non si ripetesse quanto accaduto anni prima. Salvando il proprio villaggio, il Brumatti salvò quel giorno anche la vita di numerosi soldati, vita che comunque questi ultimi, dovettero rimettere in gioco solo qualche ora più tardi. L’occupazione nella notte di Turbigo scosse l’intero fronte e convinse Napoleone III a dirigersi verso questa nuova conquista inaspettata, unitamente a De Mac-Mahon. Invitò Vittorio Emanuele II a raggiungerlo. A Turbigo, il giorno 3 giugno 1859, si tenne così, un improvvisato ma decisivo gabinetto di guerra che con la famosa “divisione dei compiti”, pose le basi decisive per le successive vittorie degli alleati franco-sardi, permettendo loro di entrare vittoriosamente in Milano il giorno 8 giugno 1859.
Se il terzo Napoleone, avesse avuto l'intuito felice di guerra del primo, quello stesso giorno, sarebbe entrato vittoriosamente in Milano. In ogni caso, come abbiamo detto, l’occupazione insperata ed immediata di Turbigo da parte dei francesi, diede un impulso decisivo e frenetico alle operazioni militari che si andavano ora svolgendo in territorio lombardo. Si riprese alacremente a costruire i ponti di barche sul Ticino e alla fine ne verranno allestiti più di uno (in totale 3), come ci ricordano diverse stampe dell’epoca [5]. Il luogo di costruzione di questi ponti, fu lo stesso dove i genieri di Napoleone I, costruirono il loro unico ponte di barche, il 31 maggio 1800. Ancora oggi si possono notare, nello stesso luogo, infissi nel greto del fiume, i pali di legno di queste successive opere militari dei genieri francesi. Il paese di Turbigo non era cambiato molto rispetto al 1800, ed era ancora sostanzialmente diviso in 2 parti, una pianeggiante e l’altra collinare. La prima parte, adiacente al ponte sul Naviglio, strategicamente più importante, era stata agevolmente occupata nella notte. La conquista della parte collinare di Turbigo avvenne nella mattinata del 3 giugno. Le truppe austriache, batterono frettolosamente in ritirata in quanto, i 4 battaglioni di rinforzo promessi dal generale Clam Gallas non si erano ancora visti. Consolidata la posizione, De Mac-Mahon giungeva a Turbigo alle 12 e mezza del 3 giugno, insieme all’intera divisione Motterouge. Il problema era sempre lo stesso ed accomunava tutti gli eserciti in guerra in quell’epoca: capire esattamente dove era il nemico! La timidezza con la quale Napoleone III aveva condotto fino a questo momento, tutte le azioni di perlustrazione ed individuazione del nemico, aveva sempre comportato un rallentamento di tutte le operazioni militari francesi. Serviva un decisivo cambio di passo, un azzardo. Il comandante De Mac-Mahon raggiunse con Napoleone III, la parte più alta di Turbigo. Mentre l’imperatore, sul sagrato della chiesa, era intendo a scrutare le mappe della zona, il suo generale, dalla torre del castello e dal campanile della chiesa, individuò nel campanile del paese vicino, Robecchetto, il punto più elevato per scrutare l’orizzonte. Senza avvisare l’imperatore, con un cenno al suo stato maggiore, galopparono tutti velocemente verso Robecchetto. Questo paese, ora come allora, dista solo pochi chilometri da Turbigo e per l’amministrazione Lombardo-Veneta, all’epoca, i due paesi, essendo così vicini tra loro, costituivano una sola unità amministrativa. De Mac-Mahon giunse in prossimità del campanile della chiesa di Robecchetto e come racconta lui stesso nel suo diario [6], lasciò solo qualche soldato a tenere i cavalli e precipitosamente, salì il campanile della chiesa, unitamente a gran parte dei suoi ufficiali che costituivano in quel momento l’intero stato maggiore dell’armata francese. Solo il tempo per dare un rapido sguardo verso l’orizzonte, verso Magenta, quando, con angoscia e terrore, il colonnello Prudon, scuotendo vigorosamente il futuro duca, ottenne la sua attenzione immediata. Sotto di loro, sola a qualche centinaio di metri dal campanile stesso, una nutrita colonna di fanteria nemica stava per impossessarsi del paese di Robecchetto. La discesa dal campanile fu decisamente più rapida della sua salita di solo pochi attimi prima. Il rumore provocato dalla precipitosa discesa, fu percepito immediatamente dagli austriaci, che diedero l’immediato allarme. La fortuna volle che in quel momento non ci fosse molta cavalleria tra le prime fila austriache, fu così che, galoppando in modo forsennato, schivando le pallottole, seminando alcuni cavalieri ulani, l’intero stato maggiore francese si sottrasse ad un cattura che poteva decretare sul nascere la fine della campagna francese in Italia. L’azzardo di una ricognizione fatta in prima persona, aveva però dato i suoi frutti. Ora finalmente si aveva coscienza della posizione fisica del nemico. E gli ordini, quelli corretti, quelli che occorre dare in queste situazioni, non tardarono ad essere impartiti. De Mac-Mahon ordinò al comandante la Motterouge di attaccare il nemico con tutte le forze di cui disponeva[7] al momento. Dall’altura del castello di Turbigo, con il proprio cannocchiale, Napoleone III, Vittorio Emanuele II e De Mac-Mahon, videro schierarsi, sulla piana di fronte a Robecchetto, secondo i loro ordini, i tre battaglioni dei “Tirailleurs Algériens”, più comunemente detti “Turcos”, truppe coloniali algerine, con in testa il comandante la Motterouge. Di fronte a loro, ad occupare il centro abitato di Robecchetto, c’erano le truppe del corpo austriaco di Clam Gallas inviate dal gen. Gyulai. Uno strano destino stava per accumunare le truppe francesi dei due Bonaparte. E’ incredibile, sembra essere scritto nella pietra, ma in realtà è solo scritto nei libri di storia. Questi luoghi lombardi devono essere conquistati dai francesi alla baionetta, con combattimenti corpo a corpo, nel modo più brutale che la guerra sa esprimere, non seguendo le regole classiche delle battaglie campali, tipiche delle due epoche napoleoniche, primo e secondo impero. Sembra essere cosciente di questo destino, il comandante la Motterouge, quando, termina il suo storico discorso, impartito ai suoi soldati, poco prima di comandare l’attacco, con le seguenti parole: “Peu de feu e beaucoup de baionette”. Con queste ultime parole, “poco fuoco e tanta baionetta”, che risuonano nelle loro orecchie, nella loro lingua (tradotte in arabo dal loro ufficiale), le truppe algerine calano con estrema ferocia sulle truppe austriache. Saltano immediatamente gli schemi di difesa austriaca. I soldati di Francesco Giuseppe sono impreparati di fronte a tanta ferocia. Gli algerini non temono il fuoco di fucileria emesso all’unisono dalle truppe austriache e appena giungono a contatto con loro, tra urla spaventose ne fanno scempio. Nel giro di poco tempo gli austriaci sono scacciati da Robecchetto ed indietreggiano su tutta la linea divisi in gruppi separati. La battaglia non è più un unico scontro in un unico luogo. E’ nella realtà, una serie infinite di piccole dispute territoriali, tra soldati dispersi, su un ampio territorio tra Robecchetto e Turbigo, che lottano, non per la vittoria finale, ma solo ed unicamente per salvarsi la vita. E’ proprio in una circostanza simile che trova la morte il capitano francese Ernest Charles Vanéechout. Quest’ultimo, unitamente ad altri ufficiali a cavallo, sorpresero un piccolo gruppo di soldati austriaci che si erano nascosti alla caccia insistita delle truppe algerine. I soldati austriaci, impauriti, alla loro vista, deposero immediatamente le armi, aspettando l’arrivo di altri soldati francesi che però non si palesarono. In pochi attimi i loro comandante capì che gli ufficiali erano anch’essi isolati. Ripresero subito le armi e fecero fuoco suoi 4 ufficiali francesi. Solo il capitano Vanéechout ebbe la peggio. La salma di questo soldato ancora oggi riposa nel cimitero comunale di Turbigo e una lapide[8], nell’esatto luogo dove cadde in combattimento, oggi ricorda il suo sacrificio e quello di tutti quei giovani che in quella giornata persero la vita per l’unità d’Italia. Questo è uno tra le decine di episodi di quella giornata che andrebbero tutti raccontati. Dal ferimento del capitano Boulanger, eroe in quella giornata, a quella del comandante Auger, la cui audacia quel giorno permise la cattura di svariati pezzi di artiglieria nemica. Questo sfortunato ufficiale troverà la morte poche settimane dopo nella battaglia di Solferino. Un episodio su tutti deve essere citato, perché molto particolare, come ci ricorda nel suo libro “Souvenir d’un Zuave”, Louis Noir (ed. 1866). Una ragazzina lombarda di 16 anni aveva visto nei giorni precedenti la battaglia fucilare il proprio fratello dai soldati austriaci. Essendo l’unico parente stretto che aveva, i francesi la accolsero tra le loro fila e le diedero compiti da vivandiera. Nel pieno della battaglia, in uno di questi scontri separati tra truppe francesi e austriache, la ragazza riconobbe tra i soldati in uniforme bianca, l’ufficiale che aveva comandato il plotone di esecuzione del fratello. Sotto gli occhi increduli dei soldati francesi, raccolse da terra un fucile e si scagliò contro l’ufficiale, in un abbraccio mortale per entrambi. Non conosciamo il nome di questa eroina del risorgimento italiano, di lei ci rimane solo il gesto a conferma dello spirito che animava quelle persone che fecero dell’Italia una nazione. Gli scontri perdurarono tutta la giornata. Gli austriaci, dopo lo scompenso iniziale si ripresero, ritirandosi ordinatamente, riorganizzandosi e dove possibile contrattaccando. La vittoria i soldati francesi la dovettero guadagnare sul campo, scacciando gli austriaci, prima da Malvaglio e poi da Cuggiono. Con l’arretramento austriaco fino a Boffalora, la battaglia di Turbigo del 3 giugno 1859 poteva considerarsi terminata. Inizia una nuova giornata per l’unita d’Italia, è il 4 giugno 1859, battaglie di Boffalora e Magenta.
Raccontarono i testimoni oculari all’epoca: “i “Turcos” furono dei diavoli quel giorno[9]. Si avvicinavano agli austriaci come branchi di tigri[10], strisciando tra il frumento e la segale, sgusciando tra i gelsi, nascondendosi tra i cespugli, per poi abbattersi come furie sui soldati austriaci, roteando in alto i calci dei fucili e accompagnando questo loro gesto con grida animalesche”. Dalla quantità di armi e di zaini rimasti sul campo di battaglia, si capì che un intero battaglione austriaco era andato distrutto subito dopo il primo attacco. Mentre la battaglia durò un intera giornata, fino alle porte di Boffalora. Anche le perdite francesi furono consistenti. Per decenni dopo la battaglia, come testimonia il colonnello Carlo Pagani nel suo libro, ancora nel 1909 la strada che da Turbigo portava a Cuggiono era disseminata di croci, poste nei luoghi esatti dove si erano spente le vite di quei soldati e non mancava occasione che i contadini non si fermassero dinanzi a recitare qualche preghiera. Al comando dei reparti francesi in Turbigo abbiamo visto distinguersi diversi ufficiali che successivamente saranno chiamati a ricoprire cariche politiche in Francia, alcuni di estremo prestigio, come il comandante De Mac-Mahon, duca di Magenta, Maresciallo di Francia e poi presidente della terza repubblica francese e alcuni, come il capitano Boulanger, eroe, ferito a Turbigo, addirittura fondatore di un movimento politico e candidato alla presidenza, per essere poi perseguito come traditore e morire suicida sulla tomba dell’amata nel 1889. La presenza fisica di Napoleone III a Turbigo insieme a Vittorio Emanuele II è riportata su diversi libri[11]. Come lo zio a Marengo, Napoleone III a Turbigo ci ha lasciato una ricetta tradizionale, entrata di diritto nella storia della cucina francese: “Rognons de mouton (ou d'agneau) à la Turbigo” [12], piatto che si fece cucinare la sera del 3 giugno 1859 a Turbigo. La successiva battaglia di Magenta, con migliaia di morti, che impressionarono negativamente lo stesso imperatore dei francesi, unitamente al fatto che a Turbigo fu versato quasi esclusivamente sangue francese, ha lasciato cadere nel dimenticatoio della storiografia italiana, una tra le più importanti, delle 101 battaglie del risorgimento e che per questo motivo, abbiamo voluto qui ricordare. Nella medaglia commemorativa[13], voluta da Napoleone III, dopo quella che noi chiamiamo la “seconda guerra di indipendenza italiana”, ma che per i francesi è la guerra franco-austriaca, il nome di “Turbigo” compare insieme alle altre battaglie combattute dai francesi in quella campagna: “Montebello, Palestro, Turbigo, Magenta, Marignan, Solferino”.
Appendici
[1] Combattimento di Turbigo del 31 Maggio 1800, il passaggio del Ticino e lo scontro che ne seguì permise a Napoleone Bonaparte di entrare vittoriosamente a Milano.
[2] “TURBIGO AND PALESTRO”, titolo dell’articolo del “The Morning Chronicle Wedsnesday” del 8 giugno 1859
[3] Gazette nationale ou le Moniteur universel, 7 juin 1859
[4] Così come riportato letteralmente sul diario del parroco Don Bossi e ripreso dal libro di Carlo Pagani
[5] Passage du Tessin par l'Armée française à Turbigo, le 3 juin 1859 : [estampe] Gaildrau, C.. Lithographe
[6] “Carnet de la Sabretache”, revue militaire retrospective, BERGER-LEVRAULT, deuxieme volume 1894
[7] Storia politico militare della Guerra di indipendenza italiana 1859-1860, di Pier Carlo Boggio
[8] La lapide che ricordava il capitano Ernest Charles Vanéechout, fu deposta dai turbighesi subito dopo gli eventi. Andata persa dopo il centesimo anniversario della battaglia, è stata recentemente riposata dalla amministrazione comunale di Turbigo il 2 giugno 2021 nell’ambito del progetto di “Museo diffuso del Risorgimento nel parco del Ticino e lungo i navigli”.
[9] Da un titolo di giornale “The tigers of the battle field”, in prima pagina, Pennsylvania Newspaper Archive, Bedford inquirer, August 05, 1859
[10] Stampa “Bataille de Turbigo. Prise de Robecchetto (3 juin 1859): [estampe], Gustave (1832-1883). In questa stampa si evince chiaramente la modalità di avvicinamento dei Turcos algerini ai soldati austriaci.
[11] Presenza in Turbigo di Napoleone III citata sui seguenti libri:
- Italie, 1852-1862 Feuillets militaires. Souvenirs, notes et correspondance, Di Jérôme-Benoit-Philogène de Baillencourt · 1894
- Fasti militari della guerra dell'indipendenza d'Italia dal 1848 al 1862 di Martino Cellai, Volume 4, 1867
- La guerra del 1859 in Italia (preparazione e svolgimento), Di Carlo Bergamaschi · 1909
- La campagna d'Italia del 1859 cronache della guerra del barone di Bazancourt, chiamato dall'imperatore Luigi Napoleone all'Armata d'Italia, Parte 1 · Volume 1
[12] Ricetta per i “Rognons de mouton (ou d'agneau) à la Turbigo”
Ingrédients
Rognons de mouton ou rognons d'agneau, dépouillés ; partagés en deux beurre croûtons en crête frits petites saucisses chipolatas têtes de champignons beurre vin madère et demi-glace tomatée et beurre (rognoni di montone o di agnello, spellati; tagliati a metà e fritti al burro crostini, salsicce, funghi, burro, vino e pomodoro)
[13] Medaglia commemorativa della campagna d'Italia 1859. Istituita da Napoleone III l'11/8/1859, celebra le battaglie della II Guerra d'indipendenza italiana. Venne concessa anche a soldati dell'esercito Sardo.